Non bisogna ritirarsi mai!
L’importante è arrivare alla fine!
Se ti ritiri sei un fallito!
Davvero ti guardi allo specchio dopo aver mollato così? Cambia sport che è meglio va!
Il fallimento non era un opzione. Sei fuori!
Fine articolo.
Se stai continuando a leggere vuoi sentirti dire qualcosa di diverso. Magari ti sei ritirato da una competizione e ti senti davvero un fallito. Oppure continui a leggere solo per vedere quanto sono stronzo e poi cerchi su Google il mio indirizzo di casa per riempirmi di botte. Ti avviso, abito lontano. E poi sono contro la violenza. No dai facciamo pace ti prego.
Corro da 12 anni, ormai quasi 13. Ho corso più di un centinaio di gare, dai 400 mt in pista alla maratona. Sono “colpevole” di essermi ritirato in almeno 20 su 100 gare. Sono una merda, lo so. Il bello è che ho iniziato la mia carriera agonistica con un ritiro! Ora puoi dire, da che pulpito arriva questo articolo.
Però, e c’è sempre un però, ancora oggi penso che il ritiro da una gara può essere un evento positivo. Ovviamente non è da festeggiare, non fraintendermi. E’ giusto sentirsi un po’ “attapirati” come direbbe Valerio Staffelli. Il ritiro è una sconfitta a tutti gli effetti, ma le sconfitte aiutano a crescere e diventare più forte. Sentirsi un perdente, o un “looser” come dicono qui in UK (cavolo ho dato uno spunto sul mio indirizzo, ora devo cambiare sesso e identità), fa bene. Lo dico sul serio.
Ti racconto la mia storia:
Ho iniziato a correre perché avevo appena litigato con il presidente della mia squadra di calcio. All’epoca giocavo a calcio in prima categoria e una squadra voleva comprare il mio cartellino (per qualche spicciolo) ma per ripicca il mio presidente fece di tutto per bloccare il trasferimento chiedendo cifre folli per il mio valore. Ero scarso ma volevo cambiare squadra perché avrei avuto più possibilità di divertirmi giocando in una squadra più competitiva con ambizioni di promozione.
Ho deciso di saltare un anno di calcio per liberarmi di fatto dai vincoli societari, in maniera da poter cambiare squadra l’anno dopo senza versare un centesimo. Era più che altro una questione di principio.
Proprio in quei giorni vidi la pubblicità della Maratona di Milano. Incosciente come un bambino di 3 anni, ho deciso di farla, con 3 settimane circa di allenamento.
La gara è stata un disastro. Mi sono ritirato al 36esimo KM e in pratica non ho potuto camminare per una settimana. Prima gara, primo ritiro. Non ti dico quanto ci sono rimasto male. In un primo momento volevo smettere di fare sport in generale, ma dopo nemmeno un’ora è cresciuto dentro di me un senso di sfida enorme, che ancora oggi mi spinge come una forza aliena.
Da li ho iniziato ufficialmente la mia carriera agonistica, con la promessa di correre di nuovo una maratona, entro i miei 30 anni. Mi sono iscritto ad una squadra e da li è iniziata un’altra storia, che continua oggi.
Il ritiro per me in questo caso è stato il trampolino di lancio, l’inizio di una nuova sfida. Il ritiro in quella Maratona di Milano, mi ha fatto innamorare della corsa. Ho lasciato il calcio, per inseguire un nuovo sogno, la mia nuova sfida.
Il mio secondo ritiro da una competizione è stato quando ho iniziato ad avere la consapevolezza di poter fare un tempo (o almeno credevo / volevo), che poi durante la gara inevitabilmente non riuscivo a fare. Appena lo capivo mi ritiravo creando scuse assurde. Ero acerbo, mentalmente dovevo ancora crescere molto, ma ogni singolo fallimento è stato un insegnamento.
Mi sono ritirato altre volte. Molte volte. Capitava spesso, soprattuto nelle gare in pista. In pista corri per il tempo e se al passaggio della metà gara vedevo che ero molto lontano da un personale, mi veniva da fermarmi. Spesso lo facevo. E quando ci sono tante persone sugli spalti a tifare, fai veramente una figura di merda. Vorresti avere quelle scale che hanno i calciatori per rientrare negli spogliatoi, il più velocemente possibile. Oggi non lo farei più. Le gare si onorano. Sempre.
Se sono l’atleta che sono oggi (? E’ un modo di dire, dai!), lo devo anche a ogni singolo ritiro e sconfitta.
Ho avuto allenatori che mi insultavano se mi ritiravo, altri che mi chiedevano di ritirarmi quando non ero in giornata, per non rovinare il nome della squadra. Ovviamente questi erano i due estremi, entrambi da condannare. Se fossi un allenatore, darei una pacca sulla spalla all’atleta che si ritira, chiedendo però di non raccontare frottole e di essere onesto, almeno con se stesso. “Ti sei ritirato perché non ti sei sentito all’altezza, e lo capisco”. Gli farei capire che è una sensazione normale, ma che si può superare. E serve per crescere, per essere più forti.
Ho imparato con il tempo, e dopo tante gare, che il fallimento è un tassello indispensabile per la crescita, un po’ come lo è nella vita.
Con me ha funzionato. Mi sono tolto qualche soddisfazione e ancora oggi ho tanti sogni su cui sto lavorando.
E’ da molto che non mi ritiro da una gara e l’ultima volta che l’ho fatto non era per il tempo o per la paura della sconfitta o del confronto, ma perché ero effettivamente infortunato.
Devo però ammettere, che in gara penso al ritiro molto spesso, ancora oggi. La differenza tra l’atleta delle prime gare e l’atleta che sono oggi, è che oggi rispondo a quella vocina che mi dice “ritirati Simo, chi te l’ha fatto fare” con un “non si molla un centimetro!”. Basta ripetere questo mantra due / tre volte quando arriva la crisi, e tutto passa.
In gara, a qualsiasi livello, si corre prima con la testa e poi con tutto il resto.
La testa va allenata. Per allenarsi a rialzarsi, bisogna cadere un po’ di volte. Bisogna prendere le “scoppole”!
Quindi se ti sei ritirato qualche volta, e hai tirato scuse assurde a cui non credevi manco tu, non disperare. Ci siamo passati tutti.
Nota importante: Quella maratona prima dei 30 l’ho corsa, a New York. Al 36esimo KM ho avuto l’incubo di dovermi ritirare ancora, causa crampi folli. La testa mi ha portato al traguardo, con un tempo di 10 minuti più alto di quello per cui mi sono allenato, ma all’arrivo ero felice come se avessi vinto la coppa del mondo!
Pic by Simon James @ Flickr
penso sia difficile dire ritiro si … ritiro no…
Eresia detta da chi come me sprona sempre a non mollare mai…
io nei miei (quasi)30nni di corsa ho vissuto due fasi …
dal 1985 al 2009 quando l’ ansia da prestazione… quando il tempo da raggiungere erano l’ unica priorità…
ho sempre preferito un “buon ritiro” a un crono disastroso o una débâcle clamorosa… molte meno paranoie o “seghe” mentali … e puntualmente la gara successiva un successo clamoroso…( a dire il vero gareggiavo su gare piu’ corte e su ritmi sempre al limite)… dal 2009 in poi quando correre è diventato per me molto piu’ un “piacere” … zero ritiri … sempre al traguardo, in qualsiasi modo … sempre gioia e felicità a prescindere dal cronometro … ( distanze piu’ lunghe) …
ps1… come te … ogni tanto il pensierino del ritiro torna… ma in meno di 3″ scompare …
ps2… mi piace l’ articolo … magari un po estremo, che di sicuro ci apre a pensieri e ragionamenti di come viviamo le ns gare…
ps3 … fortunatamente i miei coach e chi mi ha seguito non ha mai messo il dito nella piaga post ritiro… ne abbiamo sempre parlato chiaro e lottato per andare avanti …
ps4 … quando mi sono ritirato, ho sempre cercato di non trovare alibi e questo mi ha aiutato tantissimo…
ps5 … se oggi quando corro vengo considerato ( seppur da bradipo) un fighter è anche grazie a tutti i miei ritiri…
ps6 … testa cuore grinta determinazione …
ps7… per certi versi abbiamo scritto le stesse cose…beh siamo runner!!
ps8… complimenti per il blog…
ps9.. complimenti per la tua super London Marathon …
Ciao Paolo, grazie mille per questo commento. Condivido tutto quello che hai scritto. Tra runners ci si capisce al volo.